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domenica 7 giugno 2020

ANTONINO LA VECCHIA: MONTE ERICE 1997

Il 1997 fu un anno davvero ricco di partecipanti al CIVM: tante auto, tanti prototipi ma soprattutto tanti iscritti alla “classe supersalita”. E c’erano Vittorio Gomboso con l'Alfa Romeo 155 V6 TI con la livrea della Polizia di Stato, Fabio Danti con la Skoda Octavia ufficiale, altri piloti con i prototipi come l’altoatesino Franz Tschager, primo assoluto alla Monte Erice di quell'anno, con la Lucchini BMW e c’era il grande  Antonino La Vecchia, sì c’era anche lui, vincitore l’altr’anno del CIVM e della Monte Erice classe Supersalita.
Partecipava con l’ultima versione dell’Alfa Romeo 155 V6 TI “quella con l’adesivo Mannesmann sul parabrezza”,  di cui tutti già da giorni parlavano e che di certo annunciava odore di gloria e spettacolo assicurato.
Tutti noi appassionati attendevamo di vedere, in un crescendo di ansia ed emozione, le auto tanto straordinarie quanto potenti e veloci. Noi pubblico della Monte Erice eravamo un popolo davvero numeroso; assiepati in ogni curva, in ogni tornante del tracciato, dalla partenza al traguardo, cinquantamila persone in poco più di 5 chilometri fremevano all’unisono.

Le prove del sabato ci avevano già caricato di adrenalina e le aspettative montavano, rombo dopo rombo. Ci si aspettava dalla gara della domenica la replica del sabato ma con il brivido della velocità in più e della competizione.
Ogni passaggio era sorprendente: Danti,… Gomboso,…. “Staccate” e grida di incitamento, una festa nella festa, fino al silenzio assoluto, assordante più del rombo dei motori: eccolo Antonino La Vecchia spuntare da una curva veloce a sinistra! La 155 V6 TI , in quarta marcia e poi quinta, sesta e di nuovo giù in scalata, quinta, quarta, terza, seconda e su per il tornante a sinistra, gorgheggiava roboante, nel canto del sei cilindri Alfa Romeo. E sulla scia di quella meraviglia fragorosa e rimbombante, le nostre orecchie lo accompagnavano fino al traguardo, per sciogliersi in un boato di gioia sulla bandiera a scacchi.
Eh sì, erano i favolosi anni ’90 …e quella fu la Supersalita ‘97, unica ed irripetibile.

mercoledì 3 giugno 2020

FABIO DANTI: IL RICORDO DI UN CAMPIONE

Quanti titoli italiani ed europei avrebbe ancora conquistato, e quali record avrebbe potuto raggiungere Fabio Danti, se quel tragico sabato 3 giugno del 2000 fosse passato senza conseguenze? Se solo avesse superato indenne quel tratto maledetto della cronoscalata Caprino-Spiazzi, appena cento metri prima del traguardo.

Oggi, dopo due decenni da quel fatidico incidente, non posso fare a meno di pormi questa domanda.

Non spetta certo a me raccontare chi fosse Fabio Danti: le sue imprese parlano da sole, scolpite nella memoria di chi ha vissuto l’epoca d’oro delle cronoscalate, di chi l’ha visto sfrecciare sui tornanti delle montagne italiane ed europee.
Pochi anni, ma intensi, in cui ha lasciato un segno profondo, irripetibile.

Fabio era un pilota puro. In gara, un leone: aggressivo, tecnico, capace di spremere ogni centimetro di strada e ogni cavallo del motore. 
Ma fuori dall’abitacolo era un uomo gentile, affabile, con quella disponibilità rara che conquistava chiunque: un sorriso sempre pronto, una battuta, una foto, un gesto semplice. Vero.


Ho avuto il piacere di incontrarlo alcune volte. Ricordo, in particolare, la sua gara alla Monte Erice nel 1996 con la Skoda Felicia Kit: sembrava di assistere a un videogioco, tanto era rapida e precisa la "piccola" Skoda nell’inserirsi in curva e arrampicarsi sui tornanti.

E poi le sue discese in elicottero alla Malegno-Borno, (Trofeo Vallecamonica), quando gareggiava in due categorie diverse, con due vetture differenti: l’Osella PA20S BMW e, ancora, la Skoda Felicia Kit.


Arrivato al traguardo a Borno con la Felicia, saliva su un elicottero per tornare a Malegno e ripartire subito con l’Osella. 
Un impegno da autentico campione, capace di adattarsi istantaneamente a due vetture tanto diverse.

Un gioco da ragazzi, per lui.

Fabio Danti era davvero il prototipo perfetto del pilota da cronoscalata.

E aveva sempre un sorriso per tutti.





giovedì 19 maggio 2016

NON È 1000 MIGLIA SE NON C'È LA PIOGGIA

Jacky Ickx, la gara e la pioggia.

Era il 3 giugno del 1984 e per la prima volta, al telegiornale, sentivo parlare di Jacky Ickx, un direttore di gara che al Gran Premio di Montecarlo, aveva esposto la bandiera rossa e quella a scacchi interrompendo la gara al 32° giro per motivi di sicurezza.
Una pioggia intensa aveva reso pericoloso il circuito monegasco.
Alcuni piloti "esperti" come Nigel Mansell, Patrick Tambay e Derek Warwick erano finiti contro il guard rail.
Il "professore" Alain Prost, così era soprannominato, al passaggio davanti al traguardo, alzava la mano per attirare l'attenzione del direttore di gara chiedendo di interrompere la corsa mentre un esordiente pilota brasiliano, Ayrton Senna, iniziava una serie di sorpassi al limite che lo portavano a soli due secondi dal leader Prost.
In seguito, alcune voci di corridoio diranno che la gara era stata interrotta per favorire la vittoria del francese Prost... ma questa è un'altra storia.
Oggi come allora, alla 1000 Miglia, durante le operazioni per la punzonatura, c'è la pioggia, una gara e Jacky Ickx e questa volta anch'io.











mercoledì 24 giugno 2015

24 HP LA PRIMA ALFA

FOTO FONTE WEB
Era il 1910 quando il Cavaliere Ugo Stella incontrò l'imprenditore francese Pierre Alexandre Darracq per rilevarne le quote aziendali dell'industria automobilistica Darracq. Da quell'incontro, insieme ad alcuni imprenditori lombardi, in zona Portello a Milano, nacque la nuova A.L.F.A. ( Anonima Lombarda Fabbrica Automobili) che costruì la sua prima autovettura, la 24HP, un concentrato di verve sportiva, con motore quattro cilindri in linea progettato dal piacentino Giuseppe Merosi con carrozzeria Castagna.

martedì 29 aprile 2014

GRAN PREMIO SAN MARINO 1994

IMOLA: "la gara maledetta"

Vent’anni sono trascorsi da quel terribile week end di Imola.
Si disputava il G.P. di San Marino, sul circuito Enzo e Dino Ferrari, terza gara del campionato del mondo di Formula 1 del 1994.
Già, proprio un Gran Premio maledetto, forse, come mai nessun altro nella storia della Formula 1.
Come sempre tutto inizia con le prime prove libere del giovedì.  
È il momento in cui i piloti provano le monoposto per capirne il comportamento e se necessario apportare, con l’ausilio degli ingegneri e dei meccanici, le dovute modifiche.
In un normale giorno di F.1, tutti gli addetti ai lavori si danno da fare ai box e in pista con l’obiettivo di vincere la gara.
Il giorno dopo, durante le prove ufficiali, accade un grave incidente che fa temere il peggio.
Rubens Barrichello vola contro le reti di protezione alla variante bassa a una velocità vicina ai 200 Km l’ora, uno schianto violentissimo che per fortuna finisce con qualche leggero trauma per il simpatico brasiliano.
È l­’inizio della fine, quanto basta per dare un’atmosfera funesta al G.P..
Durante la seconda prova di qualifiche del sabato, quell’area funesta si materializza nella morte del pilota austriaco, Roland Ratzenberger  al debutto, in quella stagione, con la Simtek Ford.
Con un cosiddetto “contratto a gettone”, avrebbe corso solo le prime cinque gare della stagione poi avrebbe dovuto procurarsi altri soldi/sponsor per finire il campionato.
Roland Ratzenberger non vedrà mai più la bandiera a scacchi, sul rettilineo che precede la curva Villeneuve perde una parte dell’ala anteriore della sua monoposto, la macchina diventa ingovernabile, finisce a 320 Km orari contro il muretto, l’impatto violentissimo provoca una falla nella cellula di sopravvivenza. Le immagini in TV lasciano subito intendere che stavolta l’incidente è davvero grave.
I sanitari, accorsi sul luogo dell’incidente, si rendono conto che le condizioni del pilota sono gravissime, lo portato prima al centro medico dell’autodromo e dopo all’ospedale Maggiore di Bologna.
Muore alcuni minuti dopo il ricovero.
Tutto il mondo dell’automobilismo rimane scioccato, molto si era fatto per la sicurezza negli anni passati ma probabilmente non abbastanza da evitare tali drammi.
I piloti provano un grande sconforto, alcuni piangono e si disperano, Ayrton Senna pensa addirittura di non correre la gara, avverte che qualcosa di sinistro si aggira nell’aria.
Forse la Federazione Internazionale avrebbe dovuto annullare la corsa per il grave incidente del povero Roland, ma così non sarà.
Alle due di pomeriggio di domenica 1 maggio, tutti sono pronti allo start. Si respira un’aria malinconica, si avverte che forse qualcosa dovrà ancora accadere, soprattutto il pilota brasiliano Ayrton Senna alla prima stagione con la Williams.
Al semaforo verde JJ Leto rimane fermo in griglia con la sua Benetton per problemi tecnici, viene travolto dalla Lotus di Pedro Lamy, alcuni pezzi delle monoposto finiscono in tribuna ferendo numerosi spettatori che saranno portati in ospedale, per fortuna i due piloti escono dalle macchine senza alcun graffio.
L’ingresso della safety car è inevitabile, quanto basta per dare il tempo ai commissari di percorso di rimuovere le macchine e pulire la pista dai detriti.
Al quinto giro tutto è pronto per la normale ripresa della corsa, la safety rientra lasciando il comando della gara alla Williams di Ayrton, seguito a pochi centesimi di secondo da Michael Schumacher, poco più di un giro senza la macchina della sicurezza, all’inizio della settima tornata Ayrton Senna, finisce dritto contro il muro della curva Tamburello.
La velocità in quel tratto di pista è prossima ai 320 Km orari.
Quando si rende conto che la sua macchina non ha più la giusta direzionalità, (nella notte fra il sabato e la domenica, i tecnici Williams, avevano dovuto modificare, su richiesta di Senna, la sezione del piantone dello sterzo per problemi d’ingombro nell’abitacolo, riducendo il diametro nella parte più vicina al volante, saldando insieme i due pezzi. Tale saldatura sarà insufficiente a reggere le sollecitazioni meccaniche), fa appena in tempo a scalare due marce e rallentare fino a circa 220 Km l'ora.
L’impatto contro il muretto è inevitabile.
Quella modifica al piantone dello sterzo, sarà la causa dell’incidente mortale di Ayrton Senna.
Sembra uno dei soliti incidenti al Tamburello, serio ma non preoccupante, così come altri ce ne erano stati in quella curva negli anni precedenti.
Forse anche Ayrton ne sarebbe uscito illeso se non fosse stato che uno dei puntoni della sospensione anteriore destra, staccatosi, si fosse conficcato nell’apertura del casco all’altezza della visiera, causandogli un devastante trauma cranico.
Giunti sul luogo dell'incidente, i sanitari si rendono subito conto della grave condizione di salute del pilota.
Operano quanto necessario e immediato, il ricovero all’ospedale Maggiore di Bologna si rivela un disperato tentativo di salvargli la vita, le condizioni sono critiche, il trauma alla testa non lascia molte speranze.
Alle 18:40 il bollettino medico dell’equipe sanitaria dell’ospedale Maggiore di Bologna rivela al mondo intero la brutta notizia del decesso del pilota brasiliano.
È così che muore Ayrton Senna.

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venerdì 14 marzo 2014

FORMULA 1: 1950 - 2014


TUTTO CAMBIA

Ne sono passate di stagioni, da quando nel 1950 fu istituito il campionato mondiale di Formula 1 piloti, e con esse scuderie, tecnici, piloti, glorie e sconfitte.
 La Formula 1, massima espressione tecnologica del mondo automobilistico ha sempre, stagione dopo stagione, apportato delle modifiche alle monoposto a volte minime giusto per migliorare qualche deficit motoristico o aerodinamico durante la stagione in corso, altre, cambiamenti che hanno segnato la sua storia.
Questi cambiamenti descrivono la naturale evoluzione delle monoposto e della Formula 1, dal motore anteriore degli anni 50, quando lo si privilegiava a sfavore del telaio, all’intuizione dell’importanza di quest'ultimo negli anni 60, alla monoposto a effetto suolo dell’inglese Colin Chapman, alla nascita delle scocche in carbonio, all’utilizzo del turbo, dell’elettronica e così via.
Già, il turbo, un "marchingegno" sofisticato che ha lo scopo di immettere una maggiore quantità di aria nella camera di scoppio, assicurando al motore una maggiore potenza.
Era stato impiegato negli anni 80 fino al 1989 quando fu abbandonato dando ampio spazio all’utilizzo dell’elettronica.
Quest’anno nella stagione 2014 ormai in partenza con il G.P. d'Australia, ritorna a sovralimentare motori di cilindrata 1.6 litri, dotati di un sistema di ricupero dell’energia  chiamato ERS, Energy Recovery System.
 Questo sistema innovativo, ha il compito di recuperare sia l’energia cinetica in eccesso dalle ruote motrici, che già faceva il “vecchio KERS” nelle passate stagioni, che quella termica generata dai gas di scarico, accumulandola nelle batterie che erogano circa 100 KW oltre alla potenza del motore a scoppio, garantendo una "mostruosa" coppia alle ruote motrici.


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sabato 19 ottobre 2013

1000 MIGLIA: 1952-2012

Ne  è  passata  di acqua  sotto  i  ponti,  da  quando  nel  1952  sulla  rampa  di  partenza  di  Viale  Venezia  a  Brescia,  prendevano  il  via,  alla  Mille  Miglia,  per  un  test  che  avrebbe   rivoluzionato  il  sistema  frenante  per  automobili,  Sir  Stirling  Moss  e  Norman  Dewis, all’epoca  ingegnere  capo  di  Jaguar.

Lo  scopo  della  partecipazione  alla  competizione,  la  più  importante  dell’epoca,  fu  testare  il  nuovo  impianto  frenante dotato  di  freni  a  disco,  per  un  probabile impiego  su  larga  scala,  nel  caso  in  cui  avesse  dato i  risultati  previsti.
Dopo  sessanta  anni  gli  stessi  protagonisti,   con  la  medesima  automobile,  la  C-Type XKC  005  e  qualche  anno  in  più,  tornano  a  Brescia  per  festeggiare  quell’evento.

Non  nascondo  di  aver  provato  una  certa  emozione  quando,  con  il  mio  inglese  stentato,   chiesi  a  Sir  Stirling  Moss  qual  era  il  suo  ricordo  più  bello  dell'edizione  1952.
Mi  rispose  raccontandomi  un  aneddoto  curioso:  all'arrivo  a  Brescia,  dopo  aver  percorso  le  1000  miglia  del  tracciato  Brescia  Roma  e  ritorno,  durante  le  verifiche  tecniche  post  gara,  i  commissari  non  abituati  a  vedere  dei  dischi  d'acciaio,  si  chiesero  dove  fossero  finiti  i  tamburi  dei  freni  e  come  aveva  fatto  a  portare  a  termine  la  gara  senza  freni.

martedì 17 aprile 2012

40^ CRONOSCALATA VITTORIO VENETO CANSIGLIO


"La gara infinita"


Come  ogni  anno  l'appuntamento  ricorre  nel  mese  di  aprile,  a  Fregona, una  frazione  di  Vittorio  Veneto,  in  provincia  di  Treviso.
Quest'anno  si celebra  la  40^  edizione  della  cronoscalata, che da Fregona,  dopo un tracciato di circa sei Km, arriva  alla piana del Cansiglio,  prima  gara  in  calendario del  C.I.V.M.  2012.
L'incontro  di  tutti  gli  ufficiali  di  gara  è  al  solito  posto,  nei  locali dell'ex  mobilificio  Marin  di  Fregona,  anche  quest'anno  provenienti  da diverse  regioni  d'Italia,  Emilia  Romagna,  Lombardia,  Toscana,  Veneto, Friuli,  ecc...
Noi  dell'ACI  di  Brescia  arriviamo  all'appuntamento  nella  mattinata  di sabato  14  aprile  verso  le  8:00,  alcuni  altri  colleghi  delle  altre  sedi  sono  già  arrivati  poichè  provengono  da  località  meno  distanti  o  perchè  sono arrivati  la  sera  del  venerdi.
Dopo  un  breve  incontro  con  il  direttore  di  gara  per  le  ultime  direttive, ci  rechiamo  a  ritirare  tutto  il  necessario  per  la  disputa  della  gara.
Quest'anno  gli  iscritti  sono  circa 180,  fra  auto  storiche  e  moderne,  per  cui  si  prevede  una gara  molto  combattuta  fra  i leader  dei   due campionati.
La  giornata  del  sabato  come  previsto  prosegue  all'insegna  del  tempo  incerto,  con  nuvole  che minacciano  pioggia  che  cade  raramente.
La  postazione  17,  circa  a  metà  tracciato,  coincide  con  la "esse del  muraglione",  un  tratto  di  strada  da  percorrere  in  terza  o quarta  marcia  a  seconda  del  tipo  di  vettura, e forse anche dell'abilità del pilota, con parzializzazione  dell'acceleratore.
Tutto  inizia  all'insegna  del  divertimento,  come  al  solito  lo spirito  che  prevale  è  questo.
Tutta la giornata dedicata alle prove, trascorre tranquilla senza alcun problema, solo un piccolo incidente fra le storiche, che vede coinvolta una Lotus Europa 1600, in uscita dalla esse in sovrasterzo, picchia contro il guard rail distruggendo tutto l'avantreno e parte  del  posteriore  poichè  rimbalza  contro  il  muro  che  da  il  nome alla "esse".
Il  giorno  seguente,  domenica  15  aprile,  il  meteo  minaccia  pioggia intensa  con  le  sue  nuvole  gonfie  d'acqua.
Sin  da  subito,  comincia  a  piovere  per  cui  la  gara  sarà  bagnata.
Inizia così  una  delle  gare  più  lunghe  degli  ultimi  due  anni.
Una  gara  infinita,  fra  incidenti,  auto  in  panne  lungo  il  tracciato,  da  recuperare  con  l'ausilio del  carro  attrezzi,  alle  11:40  circa  prima  ancora  che  finisse  la  prima  manche,  dalla  postazione 17, la  mia,  in  poi  verso  il  traguardo,  cala  una  nebbia  così  intensa  che  limita  la visibilità  a  meno  di  cinquanta  metri.
Avvertito  il  direttore  di  gara  e  il  responsabile  della  sicurezza,  dopo  diversi  sopralluoghi  con diverse auto,  a  velocità  diverse  si  decide  di  sospendere  la  corsa  fino  alle  14:30,  nella  speranza  che un filo di vento spazzi via la nebbia.
Per  fortuna  eolo  soddisfa  il desiderio  di  tutti,  piloti  ed  ufficiali  di  gara,  così  alle 14:30 circa si riprende  per  portare  a  termine  la  prima  manche.
Sempre  sotto  la  pioggia  battente  si  ricomincia,  per  la  seconda  tornata.
Tutti  i  concorrenti  tornati  giù,  riprendono  il  via  uno  dopo  l'altro, nell'intenzione di poter fermare  il  cronometro  con  un  tempo più  basso  del  precedente  "giro".
Solo  un  lieve  rischio  nella  seconda  manche,  una  monoposto  in  uscita  dalla  esse  in sovrasterzo,  rischia  di  finire  contro  il  guard  rail,  per  fortuna  si  intraversa  in  traiettoria  senza "toccare", il  nostro  intervento  è  inevitabile;  in  regime  di bandiere  gialle  facciamo  transitare  il concorrente  successivo, Christian Merli,  fuori  traiettoria,  facendo  manovrare  il  pilota  protagonista  dello  spiacevole  episodio,  che  riparte  alla  conquista  del  traguardo.
Alle  19:40  la  corsa  termina  al passaggio  dell'ultimo  concorrente,  ancora  sotto  una pioggia battente  che  non  dà  tregua.


 40^ Vittorio Veneto Cansiglio  video

lunedì 2 aprile 2012

25° RALLY VALLI PIACENTINE

Rumori di uno schianto 

Alle corse automobilistiche, si sa, può accadere l'imponderabile.
Gare che iniziano in ritardo, pubblico indisciplinato che non tiene conto delle indicazioni dei commissari di percorso che indicano di sistemarsi nelle aree sicure, incidenti più o meno gravi, piloti che tornano a piedi perchè lasciati in panne dal mezzo meccanico e così via, tante piccole facciate di un puzle che messo insieme realizza uno spettacolo, a volte, tanto gradevole quanto curioso, tanto divertente quanto drammatico.
Domenica 31 marzo, al 25° rally Valli Piacentine, gara titolata I.R.C., durante la P.S. 2, in località Ponte Organasco, Cerignale, in provincia di Piacenza, è accaduto quello che non ti aspetti, un incidente, tanto strano quanto curioso che per qualche istante ha percorso la spiacevole strada del dramma.

Un  crash   dalla   dinamica  spaventosa.
Immagina  un  tratto  di strada  in  discesa,  una curva  a  sinistra  da  percorrere  in  terza  marcia, per  un  tornante  a  destra  in  seconda,  il  pilota  di una  Clio  R3  che  disattende  ( questo  è  quello che  lui  stesso  ha  ammesso )  le  note  dettate  dal navigatore,  e,  invece  di  scalare  in  terza,  per preparare  l'inserimento  al  tornante  successivo pensa  "male"  di  farla  in  quarta,  a  pieno  gas, ad una  velocità  che  molto  probabilmente  si aggira intorno  a  150 Km  orari:  l'uscita  di  strada   è inevitabile.
Tutti  pensavamo che in quel tratto, all'uscita della curva a sinistra, se vittime di un errore, al massimo, il mal capitato potesse andare dritto per quel breve scorcio di via di fuga per finire in mezzo al bosco.
Dinamica che, se analizzata servendosi di un banale calcolo delle probabilità risultava essere corretta.
Niente  di  più  sbagliato.
Quell'auto, nella sua corsa folle, ha dovuto fare i conti con una variabile, che intervenendo, ha provocato uno schianto dalla dinamica agghiacciante.
L' impatto  contro  il  masso  di  circa  un   metro cubo,  sul  lato  destro  della  macchina  ha  fatto temere  subito  il  peggio  per  il  navigatore,  l'auto che  fa  perno  contro  quel  masso,  si proietta  in aria  compiendo  un  angolo  giro,  sbatte  contro  la parete  di  contenimento  della  montagna,  sul  lato opposto,  continua  la  sua  "corsa"    in   aria picchiando  contro  gli  alberi  che  per  fortuna  la fanno  rimbalzare  al  suolo,  un  boato  esplosivo, per  ricappottarsi  a  metà  tornante  in    piena traiettoria.
Senza  quegli  alberi,  probabilmente,  avremmo raccontato  di  un  evento  drammatico,  poichè,  la  macchina,  nel  suo  spaventoso  viaggio  fuori  controllo,  avrebbe  travolto  almeno  due  persone.

Parti  dell'auto che volano dappertutto, vetri che ridotti in mille pezzi, cadono come pioggia, addosso  alcuni spettatori,  le  tre  ruote  staccatesi  dalla  vettura  finiscono  a  cinquanta  metri  di  distanza,  urla  di spavento  fanno  da  contorno  al frastuono  dell' auto.
Dieci interminabili secondi di terribile timore.
Attivate tutte le procedure di messa in sicurezza dell'equipaggio e del tratto di strada protagonista del sinistro, ci rendiamo conto che grazie a Dio si è trattato solo di un grosso spavento.
I due piloti ormai fuori dalla Clio ridotta ad un rottame, sono in grado di orientarsi, il navigatore che è una donna, accusa solo un leggero dolore alla spalla destra: dopo quello che le era accaduto suonava come "ho un leggero prurito alla spalla".
Avvertito il capo prova, attraverso la radio, la P.S. viene sospesa e tutti gli altri concorrenti si portano in trasferimento, alla prova successiva.
Grazie a Dio, tutti i protagonisti di questo spiacevole momento, sono in grado di poterlo raccontare, per cui possiamo dire, che è andata bene.


Rumori di uno schianto!!! video

domenica 11 marzo 2012

MUSEO CASA ENZO FERRARI

Documentario su Enzo Ferrari video 
Da anni, ormai, la città di Modena non assisteva ad eventi di rilievo internazionale, forse gli ultimi risalgono ai concerti del grande tenore modenese Luciano Pavarotti.
All'inaugurazione del Museo Casa Enzo Ferrari, abbiamo assistito ad uno spettacolo unico nel suo genere, una fila chilometrica, ordinata, in attesa dell'apertura, per la prima visita, per l'occasione gratis, di un museo dedicato al DRAKE, Enzo Ferrari.
Eh già!, Enzo Ferrari, un uomo, un mito, conosciuto in tutto il mondo, per aver dato il nome, e, quindi aver creato quelle magnifiche automobili che tutti i giorni sfrecciano sulle strade di tutto il mondo.
Come è solito dire "ne è passata di acqua sotto i ponti" da quel giorno rigido d'inverno del 1918, quando preso dallo sconforto, perché gli avevano rifiutato l'assunzione alla Fiat, si rifugia, piangendo, su una panchina del parco Del Valentino a Torino.
Forse quell'evento, ha reso ancora di più l'uomo Ferrari, unico, nel senso che gli ha conferito la tempra vincente e "testarda" che lo ha contraddistinto.
Da quel giorno, per lui indimenticabile,  colleziona una serie di episodi, che lo vedono protagonista assoluto, nel mondo dei motori, da pilota a direttore di scuderia che porta il suo nome, a costruttore di bolidi. Purtroppo l'ascesa al successo, colma di vittorie indimenticabili, a volte, viene segnata da sconfitte nei circuiti e soprattutto dallo drammatico incidente alla Mille Miglia del 1957, dove    perdono la vita l'equipaggio di una sua macchina e oltre 10 persone del pubblico.
Fra tutti i riconoscimenti assegnategli, Cavaliere, Commendatore, quella  che prediligeva di più era la laurea honoris causa in ingegneria meccanica, conferitagli dall'università di Bologna.                 




Il museo a lui dedicato, è sicuramente un riconoscimento della città e delle istituzioni pubbliche e private, destinato a diventare una icona, un punto di riferimento per gli appassionati e non solo, a questo tipo di settore.
Un grande progetto dell'architetto Jan Kaplicky, scomparso nel 2009, un immenso spazio espositivo, coperto da un cofano di automobile giallo, il colore di Modena, come si vede nella foto, dentro il quale sono esposte, come delle opere d'arte, su delle pedane rialzate rispetto al pavimento, le auto che hanno fatto la storia della FERRARI.
Adiacente al museo, si trova la casa natale ristrutturata di Enzo Ferrari, dove attraverso un percorso tematico si può esplorare il "MITO FERRARI" uomo e simbolo, attraverso immagini, filmati e documenti.




Museo Casa Enzo Ferrari video

giovedì 22 dicembre 2011

JUAN MANUEL FANGIO

 

STORIA DI UN PILOTA LEGGENDARIO

Nel cuore del secolo scorso, in un’Argentina segnata da una profonda crisi economica, la famiglia Fangio decise di scommettere sul futuro. Loreto Fangio e Herminia Deramo, animati da una tenacia incrollabile, emigrarono in Sud America alla ricerca di una vita migliore. Una determinazione che, pochi anni dopo, avrebbero trasmesso al loro figlio, Juan Manuel, destinato a diventare una delle più grandi icone della storia dell’automobilismo.

Juan Manuel Fangio nacque il 24 giugno 1911 a San José de Balcarce, nella provincia di Buenos Aires. La sua infanzia fu segnata dalla povertà, ma anche da una precoce consapevolezza del sacrificio. Ancora adolescente, si rimboccò le maniche, affrontando lavori duri nei campi per aiutare la famiglia. Quegli anni temprarono il suo fisico esile e forgiarono la resistenza mentale che più tardi avrebbe fatto la differenza in pista.

Il primo vero contatto con i motori arrivò in una piccola officina meccanica, dove iniziò come apprendista. Era l'inizio del suo viaggio verso l’Olimpo del motorsport. Le prime gare furono lunghi e duri raid su strade polverose e sconnesse, vere e proprie maratone su quattro ruote che esigevano forza, sangue freddo e spirito di sopravvivenza. Fangio imparò in fretta. A stupire, più che la sua velocità, era la sua costanza.

Il destino gli diede la prima grande occasione nel 1947, durante il Gran Premio di Buenos Aires. Mentre i grandi campioni europei si contendevano la gloria, Fangio fu invitato a partecipare a una gara minore. Ma bastò poco perché il suo talento attirasse l’attenzione. In quell’occasione conobbe Achille Varzi, uno dei mostri sacri del tempo, che ne riconobbe subito il valore. Da lì, il passo verso l’Europa fu naturale.

Nel 1951, al volante dell’Alfa Romeo Alfetta 159, Fangio conquistò il suo primo titolo mondiale. Era solo l’inizio. Seguì un dominio assoluto: nel 1954 e 1955 vinse con la Mercedes W196, nel 1956 con la Ferrari D50, e infine nel 1957 con la Maserati 250F. Cinque titoli mondiali in sette anni. Ma fu proprio il 1957 a consacrarlo leggenda.

 

Nürburgring, 4 agosto 1957: l’impresa delle imprese

Quel giorno, sul leggendario circuito del Nürburgring, si correva la sesta prova del Campionato del Mondo. Ventidue chilometri di curve veloci, salite e discese senza sosta. Il circuito più difficile, la corsa più dura. Fangio, ormai 46enne, guidava la sua Maserati contro le Ferrari di Mike Hawthorn e Peter Collins. Dopo tredici giri in testa, una sosta ai box per cambiare gomme e rifornire lo costrinse a perdere oltre un minuto per un problema al fissaggio di una ruota. Rientrò terzo, distante 48 secondi dal duo di testa.

A quel punto, tutto sembrava perduto. Ma Fangio scrisse la storia. Giro dopo giro, girò più veloce dei tempi in qualifica. Recuperava dieci secondi al giro, in una danza magistrale tra i saliscendi del Nürburgring. A tre giri dalla fine superò Collins. Poco dopo, sorpassò anche Hawthorn. Tagliò il traguardo per primo, con pochi secondi di vantaggio, dopo una delle più grandi rimonte della storia dell’automobilismo.

Fu l’ultima vittoria della sua carriera in Formula 1. Ma quel giorno, sul tracciato tedesco, Juan Manuel Fangio non vinse soltanto una gara: entrò nella leggenda.

I 5 Mondiali di Fangio

Un dominio senza precedenti in Formula 1

Anno

    Scuderia

    Vettura

1951

    Alfa Romeo

    Alfetta 159

1954

    Mercedes-Benz

    W196

1955

    Mercedes-Benz

    W196 Streamliner

1956

    Ferrari

    D50

1957

    Maserati

    250F

 

L'eredità del “Maestro”

A più di mezzo secolo di distanza, il nome di Fangio continua a incutere rispetto e ammirazione. Non solo per i numeri — cinque titoli mondiali, 24 vittorie in 52 Gran Premi disputati — ma per lo stile, la sobrietà, la sportività che lo hanno reso un punto di riferimento eterno. In un’epoca in cui l’automobilismo era ancora una sfida tra uomini prima che tra macchine, Fangio fu il migliore di tutti.

Il suo record di titoli resistette per 46 anni, fino all’era Schumacher. Ma per molti, il vero “Re della Formula 1” resta ancora lui: Juan Manuel Fangio, il Maestro.